L’introduzione di nuovi dazi sulle
importazioni di vino europeo da parte degli Stati Uniti e il
rafforzamento dell’euro nei confronti del dollaro rischiano di
compromettere in modo significativo la tenuta dell’export
vinicolo italiano. A lanciare l’allarme è Giacomo Ponti,
presidente di Federvini, che richiama l’attenzione sulle
conseguenze congiunte delle barriere tariffarie e dell’andamento
valutario.
“Un dazio al 10% rappresenterebbe già una zavorra pesante per
le nostre esportazioni, ma un’aliquota al 20% rischia di essere
devastante, soprattutto per le piccole e medie imprese della
filiera vinicola”, afferma Ponti paventando il rischio chiusura
dell’export oltreoceano. “Ci sono cantine italiane – dice il
presidente di Federvini – che dipendono dal mercato statunitense
per oltre il 50% del proprio fatturato: per loro, un simile
aumento delle barriere tariffarie equivarrebbe a una chiusura
forzata verso il principale sbocco extraeuropeo”.
Introdurre nuove barriere tariffarie “in un contesto già
segnato da una stagnazione dei consumi a livello globale
significa – sottolinea Ponti – spingere fuori dagli scaffali
americani molti dei nostri vini simbolo, dal Prosecco al
Chianti, dal Pinot grigio al Moscato d’Asti, e compromettere una
presenza costruita in decenni di relazioni commerciali e
culturali”.
Il presidente di Federvini parla di “minaccia concreta a uno
degli asset strategici del Made in Italy, tanto più in una fase
di fragilità internazionale. Non si tratta solo di una questione
economica, ma anche di equilibrio territoriale, occupazionale e
culturale. Il rischio è quello di vanificare anni di lavoro e
relazioni, senza benefici reali per nessuno. È il momento della
responsabilità e del buon senso, non del protezionismo
punitivo”.
A tutto questo, conclude Ponti “si aggiunge un ulteriore
fattore di rischio spesso sottovalutato: l’andamento del tasso
di cambio euro/dollaro. Se oggi siamo tornati attorno a quota
1,18, solo sei mesi fa eravamo prossimi alla parità, e alcune
previsioni parlano di un possibile rafforzamento dell’euro fino
a 1,25 nel breve termine. Per un settore che esporta beni con
margini già compressi, una variazione simile può avere effetti
persino più penalizzanti di un dazio. Sottovalutarla sarebbe un
grave errore di prospettiva”.
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