C’è un gesto quotidiano che può incidere sulla salute, sull’ambiente e perfino sul futuro della medicina preventiva: decidere cosa mettere nel piatto. È da qui che parte la rivoluzione alimentare oggi sotto i riflettori di ricercatori, medici e governi: la dieta plant-based, ovvero un’alimentazione basata in prevalenza su alimenti di origine vegetale.
Non significa necessariamente eliminare del tutto i prodotti animali, ma dare priorità a frutta, verdura, legumi, cereali integrali, frutta secca e semi, riducendo al minimo (o evitando) carne, latticini, uova e alimenti ultra-processati. Per capire meglio cosa sia la dieta plant-based, perché è tanto benefica per la nostra salute e come seguirla nella vita di tutti i giorni in modo semplice, in occasione di un evento internazionale organizzato presso il Global Research & Innovation Center di Danone a Paris-Saclay, abbiamo intervistato il professor Ian Rowland, docente di Nutrizione umana alla Reading University, tra i principali ricercatori sull’impatto dell’alimentazione plant-based e delle sostanze fitochimiche sulla salute, in particolar modo sulla prevenzione dei tumori e sui disturbi cardiovascolari.
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Vegani, vegetariani, flexitariani: cosa significa veramente plant-based?
Gli alimenti a base vegetale stanno diventando sempre più popolari, poiché un numero crescente di persone si preoccupa della salute personale e di quella del pianeta. Stando agli ultimi dati della società di ricerche di mercato Circana analizzati dal think tank no profit The Good Food Institute Europe, soltanto in Italia, nel 2024 il mercato degli alimenti a base vegetale ha raggiunto i 639 milioni di euro, registrando un +16,4 % rispetto al 2022 e un +7,6 % sul 2023.
il professor Ian Rowland
Ma cosa distingue la dieta plant-based da quella vegana o vegetariana? “La dieta vegana è più rigida. Esclude tutti i prodotti animali e di origine animale come carne, pesce, latticini, uova, miele. Spesso è una scelta etica oltre che alimentare, legata alla tutela degli animali e dell’ambiente”, risponde Rowland che aggiunge: “Quella vegetariana esclude carne e pesce, ma include generalmente latticini e uova. È quindi meno restrittiva della dieta vegana, ma meno flessibile di quella plant-based. Quest’ultima viene definita anche dieta flexitariana e si basa su cibi vegetali, ma non esclude del tutto prodotti animali. Chi segue una dieta plant-based può consumare occasionalmente carne, pesce, latticini o uova, privilegiando però alimenti freschi e poco lavorati”.
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Più vegetali, meno malattie
Dunque, la dieta plant-based è una via di mezzo, pensata per massimizzare i benefici della nutrizione vegetale senza richiedere rinunce assolute. È sempre più apprezzata per i suoi effetti positivi su salute, prevenzione delle malattie croniche e impatto ambientale. “Purtroppo, sono in costante aumento le malattie legate a regimi alimentari spesso sbagliati, come il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari e l’obesità. Ma oggi esistono moltissime evidenze a sostegno di questo modello alimentare. Studi prospettici sulle diete mediterranee, vegetariane e flexitariane mostrano una chiara associazione tra consumo elevato di vegetali e riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, cancro, diabete di tipo 2 e mortalità generale”, sottolinea l’esperto. Ma non si tratta solo di osservazione. “Esistono anche studi d’intervento molto solidi,” spiega Rowland, “che mostrano relazioni causali: quando si passa da una dieta onnivora a una più vegetale, si osservano miglioramenti nei livelli di colesterolo e pressione arteriosa”.
Lo studio su Nature sulla salute epatica
Proprio di recente uno studio, pubblicato sulla rivista Nature, condotto su oltre 8.500 adulti ha valutato l’impatto delle diete a base vegetale sulla salute epatica, in particolare su steatosi e fibrosi. I ricercatori dell’Università di Scienze Mediche di Kermanshah (Iran) hanno utilizzato indici clinici validati per stimare la presenza di danno epatico e hanno osservato che una maggiore aderenza a diete ricche di alimenti vegetali integrali è associata a un minor rischio di fibrosi epatica. Al contrario, non è emersa una riduzione significativa della steatosi, soprattutto nei partecipanti con un’elevata assunzione di fruttosio, che risulta invece correlata a un aumento del rischio. I dati suggeriscono che, per favorire la salute del fegato, è importante privilegiare cibi vegetali non raffinati, ricchi di fibre e poveri di zuccheri semplici, evitando prodotti a base vegetale industriali e ricchi di fruttosio.
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L’alimentazione come strategia di prevenzione
Dunque, quello che portiamo a tavola ha una vera e propria funzione terapeutica, anzi preventiva. “Dal punto di vista della prevenzione – sottolinea Rowland – ci sono prove molto forti che più vegetali mettiamo nella dieta, più benefici ricaviamo per la salute. Ma una dieta plant-based equilibrata può supportare anche il recupero dopo una malattia, migliorare la funzione immunitaria e ridurre il rischio di recidive. La buona nutrizione è parte integrante della terapia, anche quando non sostituisce i farmaci”. Tra l’altro, la dieta flexitariana ha sempre più seguaci anche in Italia.
Una recente indagine di AstraRicerche condotta a giugno 2025 su oltre mille persone tra i 18 e i 70 anni, indica una transizione verso diete più vegetali, con una prevista diminuzione dell’alimentazione onnivora e una crescita delle diete flexitariana e vegetariana.
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Gli alimenti di una dieta plant-based
Ma cosa prevede esattamente una dieta a base vegetale? “Un’ampia gamma di alimenti. Innanzitutto, verdura e frutta sono protagoniste assolute. Le verdure di stagione – dai broccoli agli spinaci, dalle zucchine ai pomodori – vengono consumate ogni giorno, crude o cotte, come base di piatti principali o contorni nutrienti. Anche la frutta è presente in abbondanza, sia fresca che secca, utile per colazioni, spuntini o dessert naturali”, risponde il nutrizionista. Un’altra componente fondamentale sono i cereali integrali, come riso integrale, avena, farro, quinoa, orzo o pane e pasta integrale. Forniscono energia a lento rilascio e aiutano a mantenere stabile la glicemia. A questi si affiancano i legumi – lenticchie, ceci, fagioli, piselli – che rappresentano la principale fonte di proteine vegetali. Se combinati con cereali, offrono un profilo aminoacidico completo, utile per sostenere le funzioni del corpo. Non possono mancare frutta secca e semi oleosi, come noci, mandorle, semi di lino o di chia, ricchi di grassi insaturi, fibre e micronutrienti. “Anche i grassi vegetali, come l’olio extravergine d’oliva o l’avocado, vengono utilizzati quotidianamente per condire o arricchire i pasti in modo sano. Sempre più diffuse sono poi le alternative vegetali ai latticini, come latte e yogurt di soia, avena, mandorla o cocco, preferibilmente fortificati con calcio, vitamina D e B12”, aggiunge Rowland.
Varietà e gusto
Nella dieta plant-based non mancano il gusto e la varietà. Si usano spezie, erbe aromatiche, aglio, cipolla, limone e aceto per esaltare i sapori e aumentare il valore nutrizionale. In generale, si prediligono alimenti freschi, poco processati e naturalmente ricchi di nutrienti. Ciò che viene limitato o escluso – a seconda delle scelte personali – sono carne, pesce, latticini, uova e tutti i prodotti di origine animale. Ma anche zuccheri raffinati, snack industriali e cibi ultra-processati vengono ridotti al minimo.
Come evitare possibili carenze
È noto che chi segue una dieta vegetariana o vegana può andare incontro ad alcune carenze nutrizionali se l’alimentazione non è ben pianificata. “La vitamina B12 è il deficit più comune nei vegani, poiché assente nei cibi vegetali, e va assunta tramite integratori o alimenti fortificati. Anche ferro, calcio, zinco, iodio, omega-3 e vitamina D possono risultare insufficienti, soprattutto se si escludono del tutto alimenti di origine animale”, spiega il nutrizionista che, però, precisa: “I vegani di solito sono molto più attenti alla propria alimentazione, perché sono consapevoli delle possibili carenze di micronutrienti, ma sono anche molto proattivi nel prevenirle, tramite integrazione o alimenti fortificati”.
Una dieta plant-based equilibrata può essere nutrizionalmente completa, ma richiede attenzione, varietà e, in alcuni casi, integrazione mirata. “Il rischio è quando si segue una dieta flexitariana ‘fai da te’ senza rendersi conto di possibili squilibri: per esempio, sappiamo che il 90% degli adulti in Europa non assume la quantità giornaliera raccomandata di fibre”.
I vari livelli di trasformazione industriale del cibo
Un altro punto critico è la classificazione degli alimenti ultra-processati. “Il concetto di ultra-processati deriva dal sistema Nova, che classifica gli alimenti da non processati a ultra-processati in quattro categorie”, spiega Rowland. Il sistema Nova classifica gli alimenti in base al loro livello di trasformazione industriale, suddividendoli in quattro gruppi: cibi non o minimamente processati (come frutta, verdura e legumi), ingredienti culinari processati (come zucchero e oli), alimenti processati (come pane e formaggi) e ultraprocessati. Questi ultimi sono prodotti altamente industriali, spesso ricchi di additivi, zuccheri, grassi e sale, e progettati per essere pronti da consumare. Secondo crescenti evidenze scientifiche, un’elevata assunzione di alimenti ultraprocessati è associata a un aumento del rischio di obesità, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari, indipendentemente dal contenuto calorico o nutrizionale.
Non demonizzarli, ma leggere le etichette
Il Nova è sempre più usato negli studi di salute pubblica per valutare la qualità complessiva della dieta. “Ma non è il grado di processamento in sé a essere rilevante, bensì cosa contengono quegli alimenti”, chiarisce Rowland che aggiunge: “Molti cibi ultra-processati sono ricchi di grassi saturi, zuccheri e sale: in questo caso, sì, possono danneggiare la salute. Ma ci sono anche alimenti ultra-processati che contengono molte fibre, pochi zuccheri, pochi grassi saturi e che quindi hanno un impatto positivo”. La chiave, secondo Rowland, è leggere l’etichetta con attenzione e non fermarsi alla definizione superficiale.
La nuova piramide alimentare italiana e il ruolo dei legumi
Sembra adattarsi perfettamente al trend della dieta plant-based anche la nuova piramide alimentare italiana presentata di recente dalla Società italiana di nutrizione umana e che privilegia le proteine vegetali dei legumi rispetto a quelle delle carni, mettendole sullo stesso piano di pesce e formaggi freschi, mentre relega carni rosse e lavorate in cima alla piramide, dove il consumo è solo occasionale, insieme a quello dei dolci. Dunque, la nuova piramide alimentare italiana classifica i legumi come fonti proteiche primarie mentre in precedenza erano considerate fonti proteiche meno nobili. “È un cambiamento significativo. In passato, i legumi erano considerati proteine di seconda categoria, perché non contengono tutti gli amminoacidi essenziali. Ma oggi sappiamo che è sufficiente combinarli con altri alimenti vegetali per ottenere proteine complete”, commenta Rowland. Un esempio? “Nel Regno Unito mangiamo spesso fagioli al forno su pane tostato: da soli non sono proteine complete, ma insieme lo diventano”. E poi c’è l’aspetto ambientale: “Il pianeta non può reggere il livello attuale di consumo di carne. Servono enormi quantità di risorse per produrre alimenti di origine animale”. La conclusione di Rowland è chiara: “Una dieta sana è anche una dieta sostenibile. Salute umana e salute del pianeta camminano insieme”.